martedì 14 febbraio 2012

Moldoveanul cu ochi de gheață (Hardcore Moldovenesc part II)


"Merge la Chișinău?" "Da" "Cât costa?" "120 de lei moldovenești sau 30 de RON". L'autista della maršrutka (anche se in romeno le chiamano rutierele) per Chișinău si chiama Iuri. A prima vista non gli si darebbe un centesimo: capelli bianchi, denti d'oro, colbacco e occhialoni quadri-mila-focali a fondo di bottiglia con montatura in tartaruga, di quelli proprio da nonnetto. Sale sulla maršrutka, tira via il pellicciotto e ha sotto un bomber senza maniche e una felpa. A quanto pare per Chișinău si circola davvero, anche se ci dice che la strada è brutta e che la sua sarà l'ultima maršrutka a partire per la capitale moldava quel giorno. Qualcuno gli chiede se c'è tempo per mangiarsi un panino – io stesso ho mangiato un boccone al baretto dell'autogara – e lui risponde tre volte, a distanza di un quarto d'ora l'una dall'altra, "Plecam în douazeci de minute", partiamo in venti minuti.

Iuri raccoglie i pacchi da portare a Chișinău – le maršrutke e i bus in generale in questa parte di Europa hanno ancora questa funzione, un po' affascinante, di diligenza postale, tipo vecchio western. E scopro che anche Iuri ha un sapore western, dopo che ha raccolto pacchi, soldi moldavi e romeni, rassicurato la gente: si mette al volante, cambia gli occhiali e acquista un piglio feroce al volante della maršrutka. Sembra un Clint Eastwood di oltrecortina (il Clint Eastwood invecchiato di adesso, con i capelli bianchi corti e lo sguardo tagliente), cresciuto invece che nel vecchio west morriconiano nell'inverno della Repubblica Socialista Moldava: un moldavo dagli occhi di ghiaccio, un Caronte traghettatore del fiume Prut.

Subito dopo la partenza lo chiama un suo amico, lui gli bercia nel cellulare che è già partito, ma che è ancora a Iași, di prendere un taxi e raggiungerlo repede alla prossima fermata. Spinge lentamente un motore ancora freddo sulle salite di Iași, si ferma un po' alla fermata, sale un poliziotto e prende posto. Aspetta un po' e l'altro non arriva, si parte, con il poliziotto a bordo che gli attacca bottone. Siamo ormai fuori da Iași, in una specie di valle, gli suona di nuovo il cellulare, e comincia il berciare: "Non ti ho visto e sono partito". Ci rifermiamo in mezzo alla strada, il poliziotto saluta e scende, noi rimaniamo fermi nella neve un quarto d'ora fino a quando il suo amico lo raggiunge e possiamo partire su una strada tortuosa, sporca e a tratti ghiacciata. In non più di venti minuti raggiungiamo Sculeni.


Sculeni è la fine dell'Unione Europea – o l'inizio dell'ex Unione Sovietica se vogliamo usare la prospettiva moscovita invece di quella di Bruxelles. È uno dei pochi punti di frontiera ancora aperti nonostante l'emergenza neve (la temperatura è a -12°C e la neve continua a cadere), quelli più a sud sono stati chiusi dalla Poliția de Frontieră Română, mentre a Ungheni si passa in treno. La maršrutka si ferma e siamo invitati a scendere e a recarci dentro all'edificio per dare il passaporto. Prima i romeni, poi i moldavi coi loro passaporti azzurri e in mezzo a loro, io. Consegno, guarda le pagine, mi chiede il motivo della visita e se è la mia prima visita, mi restituisce il passaporto ed esco da un'altra porta rispetto a quella dove sono entrato, dieci metri più in là. Risalgo sulla maršrutka. A un certo punto il poliziotto che ci aveva fatto scendere sale e chiama: "Băiat care are pașaportul din Italia". Mi alzo, scendo e lo seguo al gabbiotto. Guardano il mio passaporto, poi me, poi il passaporto, poi me – il tutto per un numero non ben definito di volte. La foto non somiglia molto a come sono ora, e il poliziotto mi sorride e ci scherza sopra, mi dice che sono dimagrito, mi chiede un altro documento e io provo a togliere gli occhiali per agevolarli. Alla fine si convincono, mi danno il mio passaporto e quello di Iuri, chiedendomi di restituirlo all'autista. Possiamo andare, almeno per ora.

Un segno indica che è finita l'Unione Europea, poi inizia il ponte sul fiume Prut, il corso d'acqua che segna il confine tra Moldova e Romania, un tempo unificate e ora divise dalla storia, da diversi punti di riferimento e da un po' di reciproca diffidenza – anche se unite dalla lingua, da alcuni riferimenti culturali (Ștefan cel Mare e Mihai Eminescu su tutti), da un certo grado di interscambio e da un regime di visti gratuiti che potrebbe saltare con l'ingresso della Romania in Schengen. Un tempo Iași era la capitale di tutto il principato di Moldavia, poi diviso quando l'Impero Russo si impadronì della Bessarabia. La Bessarabia, come la chiamano al di qua del Prut, divenne parte della Romania Mare, la grande Romania, dopo il ritiro dell'Unione Sovietica dalla Prima Guerra Mondiale, finché il patto Molotov-Ribbentrop e le truppe di Stalin se ne riappropriarono rendendola la RSS Moldova.

La RSS dichiarò la sua indipendenza nell'agosto 1991, mentre l'Unione Sovietica stava cadendo a pezzi, e rimase a lungo obbiettivo dell'irredentismo romeno, al punto che la legge sulla cittadinanza in Romania accorda la cittadinanza anche ai cittadini non romeni che abbiano perso la cittadinanza prima del 1989, ai loro figli e ai loro nipoti: un chiaro riferimento ai romeni di Bessarabia divenuti cittadini sovietici negli anni '40 e ai loro discendenti. Si stima che, su una repubblica di tre milioni di abitanti, trecentomila abbiano ottenuto la cittadinanza romena e un milione ne abbiano fatto richiesta. Quanti di loro lo facciano perché realmente si sentono romeni e quanti per avere accesso facilitato all'Unione Sovietica, non è dato sapere.

Alla fine del ponte c'è il cartello che indica l'inizio della Repubblica Moldova – un altro mondo, diviso da Stalin e dalla geopolitica negli anni '40 e rimasto un crocevia di nazionalità, lingue, culture e ambizioni politiche fino ad oggi. La maršrutka di Iuri si deve fermare nuovamente, stavolta al confine moldavo. Non ci fanno scendere, ma sale una guardia di frontiera moldava, stavolta in uniforme mimetica militare invece che della polizia, ritira i passaporti, passa più volte lo sguardo tra la mia foto del passaporto e il mio volto. Poi scende con i passaporti e, dopo dieci lunghi minuti di controlli e dopo aver fatto scendere uno dei passeggeri, sale a restituirceli e ci lascia andare. Chișinău è ancora lontana, ma non importa: sono in ex Unione Sovietica.

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