martedì 4 ottobre 2011

Mai mulţ


Oggi ho camminato parecchio per Bucarest. Ho scoperto degli angoli veramente mozzafiato in Strada Mihai Eminescu e in Piaţa Pache Protopopescu, ho visto le ambasciate di India e Grecia e una via con un nome splendido, Strada Viitorului, via del Futuro. Ho camminato per le vie un po’ dimesse vicino a Parcul Cişmigiu. Ho girovagato per Lipscani e Strada Franceză e mangiato in un restaurant libanez. Ho percorso la Calea Victoriei dal centro vecchio fino a Piaţa Revoluţiei. Ho rivisto la fontana, per l'occasione tinta di rosso, nella bella Piaţa 21 Decembrie 1989. Mi sono goduto un’altra volta la passeggiata notturna per tornare da Piaţa Universitaţii a casa mia, fermandomi in almeno due momenti ammirato da qualche angolo particolare e sorridendo tra me e me per i florarie non-stop, uno a ogni angolo del semaforo vicino a casa nostra. Oggi camminavo per la Calea Moşilor, il sole negli occhi, l’odore delle varie patiserie, gogoserie, covrigarie nell’aria, la musica nelle orecchie (Olenka degli Ukrainians e I Only Want You degli Eagles of Death Metal) e ho cominciato a cercare di fare un bilancio del mio primo mese in Romania, delle cose più belle e più brutte della città in cui vivo. Non sono riuscito a stilarle così, mentalmente, quindi ci riprovo ora, a metterle per iscritto, sotto forma di “le cinque cose più” (a noi Nick Hornby ci ha rovinato).


Le cinque cose più brutte
  1. Il tizio che si masturba e piscia per terra sulle scale del nostro palazzo, cercheremo di contattare l’amministratore e vedere se può fare qualcosa.
  2. Un certo senso di negligenza e dimissione generale, con la sporcizia, i cani (che in realtà ormai non mi fanno più effetto).
  3. L’impressione che si siano fatte cose ultramoderne senza prima pensare ad alcune cose fondamentali prima, come si vede in metropolitana, sui mezzi pubblici, in diversi palazzi e in tante strade. E anche al Parcul Tineretului: vulcani di vapore, rapide, attrezzi di fitness simil-gioco per bambini a disposizione, fiere, ruote panoramiche e campi sportivi a profusione. Nemmeno una fontanella per bere, e mezzo parco al buio per un black-out.
  4. L’impressione di diffidenza e freddezza di molta gente. Magari però dovuta al fatto di conoscere pochi romeni: i pochi conosciuti finora invece mi hanno fatto una gran bella impressione, ma all’impatto con gli sconosciuti si avverte un senso di ruvidezza quasi eccessivo.
  5. Alcuni episodi da amaro in bocca: il bambino che durante il concerto degli Zdob şi Zdub raccoglieva da terra bottiglie e lattine vuote in mezzo al pubblico, i bambini che chiedono l’elemosina anche di sera, il tizio che ha cercato di venderci un rolex per strada in pieno giorno, la signora che mentre entravo in metropolitana mi si è appiccicata al culo per non pagare il biglietto, i taxisti che cercano di farti fesso.
Le cinque cose più belle
  1. Il mio appartamento e la sensazione di avere una casa “mia”. La mia stanza, il soggiorno (dove spendo tantissimo tempo), la cucina, le cose da cucinare, le cose da riordinare, la spesa da fare, i piatti da pulire, i coinquilini, il caffè, lo sferragliare tintinnante del tram nella strada, le mie chiavi, il divano di cui ho ormai preso possesso, la voglia di tutti noi di renderlo veramente nostro, in diversi modi. E la sensazione che, nonostante la convivenza richieda sempre compromessi, finora tutti si sentano a casa.
  2. La facilità con cui spunta qualcosa di meraviglioso anche in mezzo alle vie più squallide, un palazzo, un parchetto, una fontana, una via non deturpata dai palazzoni stile Ceauşescu, un angolo suggestivo, una biserica ortodossa o armena, una statua o un busto di qualcuno, un negozio o una bancarella interessante.
  3. Le vie di Bucarest e le cose che rendono una via di Bucarest una via di Bucarest: i cani (si, anche quelli, ormai ci sono abituato), le bancarelle di libri onnipresenti in zona Universitate, le patiserie/gogoserie/covrigarie che ti servono alla finestra e che spandono odori fragranti nell’aria, i florarie non-stop, i cavi del tram e dei troleibuz sospesi per aria di fronte alla lua, i palazzi illuminati di notte, l’atmosfera bellissima della città di notte.
  4. L’impressione che il centro del mondo sia stato traslato di duemila chilometri a est, di vivere in un mondo parallelo dove le istruzioni sono (forse) in inglese, poi in romeno, sloveno, serbo, polacco, ungherese, russo, macedone, albanese, greco, turco, ucraino e solo poi magari francese. In un paese che non è bagnato dal mar Mediterraneo ma dal mar Nero, che non confina con il calduccio europeo di Francia, Austria e Svizzera, ma con posti “esotici” come Bulgaria, Serbia, Ungheria, Moldova e Ucraina. La necessità di imparare una nuova lingua, anche se c’è la frustrazione di non riuscire a esprimersi come si vorrebbe. Le vecchie Dacia azzurre o gialle. La storia e l'iconografia di un periodo che noi sentiamo ormai così lontano come quello comunista ancora ben presenti, a darci una lezione di storia, di attualità e di com'è il mondo dove viviamo al di là del nostro naso.
  5. La voglia che ho di rimettermi in gioco, di incontrare persone, di lavorare, di mettermi alla prova, di viaggiare, di scrivere, di trovare storie da raccontare, di sfruttare il più possibile il mio soggiorno qui e il fatto di essere in un posto nuovo, non scontato, non conosciuto.


Oggi all’incrocio tra il Bulevardul Carol I e la Calea Moşilor la luna splendeva in cima a un palazzo, schermata dai cavi del tram numero 21. Come si fa a non innamorarsi di questa città, per contraddittoria che sia?

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