giovedì 27 ottobre 2011

Am jocat la rugby și am băut țuică!



Aria fredda, una maglietta di cotonaccio sbrindellata e con i colori dello Zimbabwe, una palla ovale che vola in cielo, i pali ad H del Parcul Copilului e una voglia di correre incredibile. Per la prima volta ho giocato a rugby sotto il cielo di Bucarest. Non era la prima volta che imbracciavo un ovale in terra straniera, anche se ammetto che giudicare il Canton Ticino estero non è veramente sensato. Alla ricerca di una squadra con cui allenarmi, capito sul sito dei Dracula Old Boys. “Ci alleniamo di martedì e giovedì alle 17”. Ma cazzo, io ho lezione. Finché arriva la notizia che la lezione di giovedì sera è saltata. E allora torno a casa, guardo la cartina, butto due cose in borsa e prendo la metro in direzione Grivița.

Scendo, chiedo indicazioni, faccio il giro del campo e vedo finalmente le H che svettano e, che bello, anche l’ingresso del Parcul Copilului è fatto ad H! Entro, mi guardo in giro disorientato, guardo con fare interrogativo un vecchietto e lui mi fa: “Căutați Dan?”. “Da”, gli rispondo, e lui mi conduce negli spogliatoi. Comincio a cambiarmi, nessuno parla inglese, ma riesco a dire qualche parola. “Ești italian? Am fost la Rovigo la 2005!” “Ce posițiă? Linia a-doua? Linia a-treia?”. Mi accolgono con molta gentilezza e mi cambio, finché uno di loro entra in spogliatoio con un basco stile militare e una bottiglia in mano. Non ci posso credere: avevo bevuto la palincă, ma lei ancora non l’avevo mai incontrata. È țuică fatta in casa, acquavite di prugne. E qualcuno tira una boccata persino prima di allenarsi.

In campo mi ricordo quanto è bello prendere la biglia – come la chiamava il mio primo allenatore – in mano e correre. Giochiamo al tocco (che qualcuno di mia conoscenza definirebbe “robba da…”, ma che è pur sempre meglio di niente), mentre sull’altra metà campo si allena la nazionale georgiana under 18, e riscopro il piacere e la fatica, a fine allenamento sono distrutto e un po’ imbarazzato per la mia forma penosa. Sono però contentissimo, mi mancava tanto e non me ne accorgevo nemmeno. In doccia mi tiro su sorseggiando anch’io finalmente un po’ di țuică, poi mi rendo conto che ogni spogliatoio di rugby è la stessa manica di cazzoni quando uno dei ragazzi si gira verso di me e mi chiede: “Cum se spune în italiană clitoris?”.

Dan mi porta a casa, mi racconta che lui abita a 75 km da Bucarest, ma si allena comunque due volte a settimana. Parliamo romanește e scopro con soddisfazione di riuscire a esprimermi, che in fondo mi basterebbe poterlo utilizzare così ogni giorno per impararlo bene. L’ultimo mezzo chilometro da Obor – dove mi lascia Dan – a casa lo faccio a piedi, esausto e felice, con una tosse bronchitica e dolori vari e la piccola borsa sportiva appesa alla spalla.

3 commenti:

bastian contrario ha detto...

è ovvio che invidio la tua età (potrei essere ampiamente tuo padre…), e invidio la tua conoscenza dell'inglese e ora pure quella del rumeno.
invidio che tu abbia assaggiato l'acquavite di prugne fatta in casa (si trova anche dalle nostre parti, a saper cercare. si chiama banalmente prunella, e può portarti alla cirrosi in sei mesi…).
ma invidio soprattutto la tua maglia di cotone con i colori dello zimbabwe…

Billie ha detto...

eheheh...regalo di un mio vecchio allenatore che quando ha saputo della mia passione per le nazionali minori me l'ha voluta donare :) ne vado orgogliosissimo, anche se è mezza sbrindellata!

bastian contrario ha detto...

ho letto il primo post del tuo blog, e ho fatto una piccola riflessione. io non credo di essere mai diventato 'grande', ma di essere rimasto un ragazzino. nello spirito, of course. durante l'ultimo mio giorno di università, l'ultima lezione che ho seguito, il professore chiese a ognuno di noi (eravamo tutti avanti con gli anni: io ero il più vecchio, 41, e il o la più giovane stava intorno ai 31/32) cosa avremmo voluto fare da grandi. io, abilmente, riuscii a rispondere per ultimo, e dissi: «non ho alcuna intenzione di diventare adulto».