domenica 16 ottobre 2011

Cu ochii deschişi în noaptea tristă

Ieri, mentre a Roma succedeva quel che succedeva, io ero in Piața Revoluției con Silvia. Le raccontavo la storia della rivoluzione romena, le mostravo la galleria d’arte e la biblioteca universitaria che il 21 dicembre 1989 erano in fiamme, le raccontavo il momento in cui i cannoni dei carrarmati dell’esercito si girarono verso il palazzo del Comitato Centrale del Partito Comunista Romeno, le indicavo la bandiera romena nel punto da cui Ceaușescu fuggì in elicottero, le narravo il suo destino e la fucilazione, le mostravo i nomi dei morti durante la rivoluzione e le spiegavo i tratti controversi di una rivoluzione che ancora non è ben chiara agli occhi dei romeni e del resto del mondo. Rivoluzione, colpo di stato, trasformismo del Partito per sopravvivere al malcontento espresso dai cittadini di Timișoara, di Bucarest e del resto della Romania?

La sera abbiamo cenato con un ragazzo pescarese e ci siamo messi a discutere di politica. Del nostro paese e delle sensazioni che ci da. Di nucleare, di Orwell e Huxley, del terremoto de L’Aquila, del voto di fiducia. Li avevo già immaginati fin dal giorno prima, ma parlando con Beppe ho saputo che c’erano stati casini a Roma. Cos’è successo l’ho visto solo stamattina, di ritorno dall’aeroporto. Sono tornato a letto con un senso di amarezza in bocca e ho ripensato a una frase detta da Beppe, dopo che il suo amico Carlo ci aveva detto: “Non parliamo di politica”. La risposta è stata: “Perché no?”. Perché io e Beppe, con vissuti, esperienze e posizioni diverse, eravamo nella mia cucina bucarestina a confrontarci. Disposti ad ascoltarci, a non dire all’altro che la sua opinione è stupida o indegna. Sapevamo perché la pensavamo in un modo, ma ascoltavamo con interesse e rispetto anche le ragioni dell’altro. I fatti erano fatti, le opinioni opinioni. E Beppe ha detto: “Io questa discussione in Italia non l’avrei mai fatta, e c’è un motivo quindi se in questo momento ci troviamo tutti e due, qui, in questa cucina di Bucarest”. Avevo la pelle d’oca, i brividi, e volevo quasi mettermi a piangere.

Forse, come dice Beppe, è un fattore antropologico: noi italiani siamo così, punto. Ed è inutile che ci lamentiamo, perché siamo così, lo siamo da tempo e sempre saremo così. Egoisti, prevaricatori, opportunisti, in fuga dalla responsabilità. A vedere le immagini di Roma, a leggere le cronache e i soliti, scontati, commenti mi viene da dargli ragione. È un giorno triste, pensare che Roma, una delle città più belle del mondo, forse quella con più storia, quella dove stamattina è tornata Silvia, sia stata brutalizzata dalla violenza di un modo di manifestare che non è ricerca di dialogo, ma prevaricazione. Non ho niente contro chi ci è andato con idee genuine e si è trovato suo malgrado in questo casino.

Penso purtroppo però che questi siano meno di quelli che ci vogliano far credere e che molti – nell’organizzazione che è, per definizione, responsabile – abbiano lasciato fare e poi condannato perché volevano fare casino, ma non volevano esserne ritenuti responsabili. Sono stufo di sentire il solito ritornello dei pochi facinorosi, da dieci anni a questa parte. Per un po’ vi ho creduto, ora sono convinto che vi nascondiate dietro un dito o che, peggio, lo facciate per dare la colpa alla polizia. “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Non siete la migliore Italia, non siete quello che vi dipingete e che volete convincerci siate. La migliore Italia ieri discuteva al tavolo di una cucina di Bucarest e provava a immaginarsi nella testa un paese migliore, la migliore Italia ieri guardava gli scontri e si poneva domande da un appartamento di Tokyo, la migliore Italia che ieri era a Roma è quella che si è dissociata subito e nei fatti da quanto è successo.

Mi piange il cuore per gli innocenti. Quelli che provano a fare il loro lavoro con serietà e professionalità per trovarsi magari stamattina il negozio saccheggiato. Quelli che sentono dentro la voglia di cambiare il mondo e che credevano veramente che questa sarebbe stata una manifestazione pacifica e utile. Sono degli illusi - a mio parere - e non sto con loro per diversi motivi, ma mi piange il cuore lo stesso per come si dovranno sentire oggi. Quelli che, stando alle cronache, hanno provato a isolare i facinorosi, hanno fatto qualcosa di materiale per dissociarsi e magari si son pure presi le botte. Quelli che, in divisa, hanno cercato di fare il loro meglio per fare in modo che la situazione non degenerasse. Sono quelli che, stamattina, mentre immergevano il cornetto nel cappuccino e baciavano la moglie prima di andare a lavoro, sapevano già che si sarebbero sentiti insultare e dare dei fascisti, che avrebbero dovuto affrontare una giornata dura e che avrebbero dovuto mantenere i nervi saldi per evitare che succedesse qualcosa di male. Quelli che vorrebbero vedere un’Italia diversa e hanno messo le cose in valigia e se ne sono andati con la rabbia dentro (“A chi è andato a vivere a Londra, a Berlino, a Parigi, a Milano o Bologna; ma le paure non han fissa dimora, le vostre svolte son sogni di gloria”), e magari oggi si sentono come mi sto sentendo io a Bucarest, portando sul cuore il fardello di un paese tanto bello quanto ingrato, ottuso e crudele. Quelli che rigettano la violenza, che rigettano la sciatteria, che rigettano certi modi di fare, che rigettano questo mondo di porte chiuse, che provano a creare qualcosa di buono e si trovano sempre umiliati, inginocchiati a piangere di rabbia.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Io personalmente do ragione a Beppe, la mia storia personale me lo impone.

Io sono andato via dall'Italia nel 2006 perché il mio curriculum in Italia non aveva valore; in Germania dopo due mesi e mezzo prendevo un più che discreto stipendio. Nel 2008 sono tornato in Italia credendo alle promesse di grandi imprenditori che sapevano raccontare solamente grandi storie finte e fare grandi promesse vuote.
Pochi mesi fa sono scappato di nuovo, disgustato, ancora più indignato di quelli che ieri erano in piazza a roma. Per ricominciare di nuovo.
Purtroppo la migliore Italia io non riesco neppure più ad immaginarla. Quelli che negli anni '70 stavano con lotta continua o simili, oggi stanno al potere a sniffare la gnocca, latitanti all'estero o in carcere, a scrivere editoriali per i quotidiani nazionali. Cosa ci fa pensare che un cambiamento (vero) oggi sia possibile?
Io adesso sono in Turchia dove ho ritrovato quei valori che si dicono propri degli Italiani: la solidarietà, l'ospitalità, la pietas. L'Italia può tornare a essere se stessa solo se ritrova questi valori, ma non credo che sia possibile.

Una parola sui facinorosi. Non credo che quelli di ieri fossero poliziotti, ma sicuramente a qualcuno all'interno del potere queste figure fanno comodo.

Billie ha detto...

Ciao Pinz...allora un briciolo della migliore Italia è pure a Smirne ;) che dire, ti do ragione su tutto.

Per i facinorosi: senza dubbio. Però ho l'impressione troppo forte che siano una scusa per nascondersi dietro un dito. E, come sono cosciente che tra i poliziotti qualcuno non vedesse l'ora di menare "sticommunistidemm...", sono anche convinto che anche tra le belle faccie colorate e festose qualcuno ci sperava e si era messo qualche sampietrino in tasca...

Drvso ha detto...

Come non darti ragione?