sabato 26 novembre 2011

Cât mi-e dor de ochii tăi



Litigare col taxista che cerca di fregarti, farle vedere che stai imparando il romeno, farle vedere le cose che conosci, che hai visto, che ti emozionano, spiegarle perché ti senti così a tuo agio in questa città, spiegarle cosa sta frullandoti per la testa. Finalmente, passare una giornata insieme. Prendere il bus che prendi tutti i giorni, andare a mangiare al ristorante insieme e saziarsi di micicârnaţi din Maramureş, e poi avventurarsi addirittura a ordinare două cafele, vă rog. Uscire nell'aria fredda di Lipscani e lasciarsi incantare dal centro vecchio di Bucarest, prendendo ogni stradina, stupendoci per ogni angolo stupendo, anche quelli che ho già visto più volte, ma sui quali non mi sono mai soffermato, avendoli visti da solo, di fretta. E, mentre lei fotografa mille angoli del Centrul Vechi, sorridere riconoscendo le parole di una canzone suonata da un chitarrista per strada, Cât mi-e dor de ochii tăi, come mi mancano i tuoi occhi.



Dopo averle fatto vedere i miei angoli preferiti della città, abbiamo virato verso la Casa Popurului, uno dei simboli della città che la scorsa volta lei non era riuscita a vedere. Prima, però, ci siamo imbattuti in un momento di magia, in una piccola favola orientale ed ortodossa, trovandoci ai piedi del Dealul Patriarhiei, l'unica collina di una città in rigorosa pianura. Ci siamo inerpicati sulla collina (anche conosciuta come Dealul Mitropoliei) fino a trovarci circondati dalla magia delle biserici ortodosse, in una sera invernale illuminata e resa meno silenziosa dai cori religiosi che si sollevavano nell'aria, echeggiati dagli altoparlanti, ma provenienti dalla funzione in corso all'interno della cattedrale patriarcale della chiesa ortodossa romena. Siamo entrati nella cattedrale, rimanendo abbagliati e allo stesso tempo un po' repulsi dallo sfarzo aureo degli ornamenti, osservando un credo diverso da quello a cui siamo abituati ad assistere, con alcuni fedeli prostrati in ginocchio, con i sacerdoti  voltati di spalle, con questi cori magnifici così emozionanti e l'odore di incenso forte nell'aria. Una piazza dai toni fiabeschi comparsa d'improvviso, senza che io mi fossi mai reso conto della sua esistenza: la sede della Patriarhia Română, la piazza San Pietro della chiesa ortodossa autocefala di Romania. La cattedrale (la Biserica Patriarhiei, intitolata agli Sfinții Împărați Constantin și Elena), il Palatul Patriarhiei - ex camera dei deputati del regno di Romania e dei primi diciotto anni della Romania post-1989 ed ex sede della Marii Adunări Naționale, il principale organo di potere della Repubblica Socialista Romena -, la residenza patriarcale e la Clopotnița, il campanile che accoglie i pellegrini al loro arrivo in cima alla collina, la statua di Alexandru Ioan Cuza, il primo principe della Romania unita.

La Casa Popurului, di sera, incute ancora più soggezione che di giorno, con la sua facciata non illuminata, la strada larghissima e quasi vuota che le passa di fronte, il freddo che ti fa espirare condensa e la guardia con il colbacco in testa: puoi fare finta di aver fatto un viaggio indietro nel tempo agli anni '80, mentre passeggi per quella strada così silenziosa. Mentre tornavo dall'aeroporto, dopo aver accompagnato Silvia, la strada vicino all'Arcul de Triumf era occupata da carri armati e mezzi blindati che facevano le prove per la grande parata del primo dicembre, la festa nazionale di Romania che ricorda la dichiarazione di Alba Iulia del primo dicembre 1918. Sarà che una manciata di secondi prima il taxi era sfrecciato di fianco alla Casa Presei Libere, ma per un ostalgico come me Bucarest ha il potere di evocare l'epoca storica che più mi incuriosisce con una forza inaudita. Sarà per questo che amo questa città?

Le foto sono tratte da wikimedia e dal sito di Andrei Pandele.

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