Sveglia con un lieve mal di testa al sapore di Kvint. Il tempo di una doccia e Vlad mi chiama: è su Strada Arborilor con la sua Skoda, mi aspetta. Facciamo conoscenza, lui parla molto bene italiano perché ha vissuto in nord Italia. Viene da Ungheni, la città dove passa l'unico confine ferroviario, mi racconta che il paese, prima che Stalin "dividesse il mondo", si sviluppava su entrambe le rive del Prut. Prendo un ceai, un tè nero, lo pago cinque lei moldavi, praticamente trenta centesimi, e ci mettiamo in marcia verso Tiraspol'. Vlad lavora per una televisione di Chișinău, mi dice che la radio che fa capo alla loro emittente è l'unica che non viene coperta in territorio transnistriano (i confini si tracciano anche a livello di telecomunicazioni). Cerca di riassumere la politica di questo lembo strettissimo di terra che pretende di essere una nazione indipendente e le speranze di apertura per l'elezione del nuovo presidente che ha sostituito, dopo venti anni ininterrotti, il padre-padrone Smirnov. Arriviamo alla vama, la frontiera, di Bender che per la Moldova è solo una frontiera interna. Sono tanti i racconti sulla corruzione e sull'arbitrarietà delle guardie del confine transnistriano e un po' di preoccupazione c'è. Va più liscia del previsto: ci fermano, ci chiedono i nostri passaporti, ce li restituiscono e ci fanno parcheggiare poco più in là, sotto gli occhi indifferenti dei tanti cani randagi che popolano la dogana transnistriana. Entriamo in una guardiola dove compiliamo un modulo in duplice copia: una da consegnare immediatamente, l'altra da tenere con noi fino a quando ripasseremo la frontiera. Se stai più di tre giorni, è necessario andare a registrarsi agli uffici dell'immigrazione della capitale Tiraspol'. Benvenuti in Transnistria o, come la chiamano in russo, Pridnestrov'e o PMR (Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika). In Moldova, per non darle la dignità di una nazione, la regione viene chiamata semplicemente Stânga Nistrului, la sinistra del Nistro.
Ci fanno partire. Siamo a Bender - per i moldavi Tighina - siamo in Transnistria, siamo in una nazione che non c'è. Bender, la città di confine, ci accoglie con i primi simboli pseudo-comunisti, con lo stadio della Dinamo Bender e con mille e più negozi e distributori Sheriff, il marchio che in Transnistria è onnipresente e a cui fa capo, secondo alcuni, il nuovo presidente Ševčuk. Bender è l'unica città Transnistriana a trovarsi al di qua del Nistro, sulla sponda destra. Il ponte che la congiunge con la capitale Tiraspol', percorso dai vecchi filobus sovietici, è stato teatro degli scontri tra l'esercito moldavo e l'esercito transnistriano nei primi anni '90. Nel 1990, quando era chiara la volontà di secedere dall'Unione Sovietica da parte della Repubblica Socialista Moldova – sottolineata anche dalla decisione del governo di Chișinău di non utilizzare più l'alfabeto cirillico per scrivere la propria lingua – la popolazione a maggioranza russa e ucraina della riva sinistra del Nistro iniziò a preoccuparsi per la volontà di derussificazione. La striscia di terra tra il confine con l'Ucraina e il Nistro dichiarò la propria indipendenza e sovranità e per difendere la stessa combatté con l'esercito moldavo. A fianco dei secessionisti transnistriani si schierò la Quattordicesima Armata della Guardia dell'Armata Rossa, sia per questioni prettamente geopolitiche sia per salvaguardare il controllo sull'enorme arsenale presente sul territorio della piccola Repubblica che non c'è. Secondo molte fonti, tra cui ispettori ONU spesso rimbalzati alla frontiera, su quelle armi e sulla fornitura di gas garantita da Mosca, si fonda l'economia del paese, dipinto da molti come un buco nero e un crocevia per il contrabbando di droga, persone e – soprattutto – armi.
Nonostante la fama, Tiraspol' sembra una città tranquilla, piena di centri commerciali a smentire chi parla dell'ultima repubblica sovietica ancora esistente, eppure ancora così ricca di simboli comunisti. Al nostro ingresso a Tiraspol' ci accoglie, oltre agli onnipresenti filtri e posti militari presidiati da militari russi, lo stadio dello Sheriff Tiraspol', talmente grande e moderno che perfino la nazionale moldava ci ha giocato. Lo Sheriff Tiraspol' invece per quasi tutto lo scorso decennio ha portato a casa la maggior parte dei titoli nazionali del campionato moldavo. Il centro di Tiraspol' invece è segnato dalla – bellissima – statua di Lenin, una delle poche ancora presenti al mondo, là dove la Ulica 25 Oktober si riversa in Ulica Suvorova. Lenin posa il suo sguardo sul memoriale per la guerra del 1992: Vlad ironizza sul fatto che il memoriale rechi scritto "Alle vittime dell'aggressore" e sulla fiamma, mantenuta viva con il gas di Mosca. Mentre mi scatta una foto vicino al carro armato sovietico che troneggia di fronte al memoriale, una signora di mezz'età ci bestemmia dietro qualcosa in russo. Vlad mi dice solo: "Non lo so, io ero lontano dal confine, loro erano qua. Probabilmente loro la guerra l'hanno sentita molto di più". Visitiamo una stupenda chiesa ortodossa e il mercato locale, così simile a quello di tante altre nazioni est europee. Cambio qualche lei moldavo in rubli transnistriani e il megafono continua a recitare una frase che si conclude con le parole Ulica Karla Marxa, via Karl Marx. Non siamo in un paese comunista, non più, ma ancora esiste un Soviet Supremo.
Andiamo a zonzo per la città, imbattendoci anche nell'ambasciata più curiosa al mondo: sono due bandiere che pochi riuscirebbero a riconoscere, quelle delle uniche due nazioni che riconoscono la Transnistria. Si tratta di altre due repubbliche de facto indipendenti, ma che non hanno alcun riconoscimento internazionale: l'Abcasia e l'Ossezia del Sud. Continua a colpire la forte presenza militare. Vlad sostiene che questa situazione convenga solamente ai russi, che vogliono mantenere un piede qui e che le cosiddette forze di pace mandate da Mosca sono in realtà il più grande pericolo per la stabilità della regione. Dice che in qualsiasi momento può scoppiare una guerra in Transnistria: in dicembre un ragazzo moldavo ubriaco non si è fermato a uno dei filtri stradali e un soldato russo gli ha sparato e l'ha ucciso, causando un ulteriore stallo diplomatico. Vlad spera che con Ševčuk cambi qualcosa: è troppo difficile per lui che la gente vicina al confine debba affrontare continuamente le difficoltà dovute all'attraversamento della frontiera, all'utilizzo di una valuta che fuori dai confini non vale nulla, di targhe e passaporti che non vengono riconosciuti dalla comunità internazionale. Come se non bastasse, la questione transnistriana impedisce alla Moldova qualsiasi possibilità di integrazione europea, il tutto in nome di una questione la cui non risoluzione, secondo Vlad, giova soltanto al governo russo.
Visitiamo un parco dedicato alla vittoria del 1945, Vlad si chiede come sarebbe stato se avessero vinto i tedeschi. Gli chiedo come era la vita in Moldova quando era una parte della Moldova, mi risponde che, quando chiedeva ai suoi nonni se fosse meglio quando c'erano i russi o quando c'erano i romeni, i nonni rispondevano: "Era meglio quando non c'era nessuno". Stiamo dirigendoci verso casa quando la polizia stradale transnistriana mette fuori la paletta. Vlad scende e per alcuni minuti resto solo in macchina. "Cazzo cazzo", fa Vlad rientrando in macchina, "sono corrotti cazzo". Prende cento lei moldavi, li piega e li infila in un documento. Dopo una manciata di secondi siamo già ripartiti. Curiosamente, una scena simile si ripeterà al di là del confine, al ritorno in Moldova: Vlad guida troppo veloce e la stradale lo fa accostare. La scena è identica: "Cazzo cazzo, anche questi sono corrotti", cento lei piegati nel documento e poi ripartiamo. Stavolta se non altro l'infrazione era reale. Torniamo verso Chișinău, ho ancora 25 rubli transnistriani in tasca e un sacco di dubbi che la visita alla città non ha sciolto. Vedo in lontananza la fortezza di Bender e sorrido vedendo dei pali da rugby mentre passiamo di nuovo di fianco allo stadio della Dinamo Bender: la Transnistria è l'ultimo posto dove pensavo di vedere un segno rugbistico da qualche parte. Alla dogana la trafila è un po' più lunga che all'andata: controllano il bagagliaio, i sedili, il portadocumenti – d'altronde stiamo uscendo dal "buco nero del contrabbando". Ci lasciamo la Transnistria alle spalle e le "Porte della Città" di Chișinău ci riaccolgono. La Transnistria sembra un sogno bislacco, continuo a guardare i 25 rubli e mi convinco che si, sono stato in una repubblica che non c'è.