venerdì 7 ottobre 2011

Viitorul unei naţiuni

“Where do you want to go?”
“I want to go to Bucharest, in Romania”
“Why Bucharest?”
“Well, you see…(segue lunga spiegazione dei motivi che mi hanno portato a fare questa scelta)”
“I see. I really hope you’ll get to go, I really hope everyone of you gets to go, actually. Italy, and the Italian University, are in a really bad state and, if you have a chance, I think you should all go. So, I’m doing a little something to get you there”

(dialogo tra me e un professore di inglese dell’Università Statale di Milano durante il colloquio linguistico Erasmus, mentre firmava un “Excellent”)


Ho iniziato le lezioni all’Universitatea din Bucureşti. Il programma, oltre a un corso di romeno, comprende alcuni corsi dalla laurea specialistica in Comparative Politics e un paio dalla triennale in Scienze Politiche in inglese. Transizioni democratiche, politica dell’Europa centro-orientale, nazionalismo e cittadinanza, comunicazione politica e organizzazioni internazionali. Più un corso in romeno che frequenterò più per curiosità e perché penso possa aiutarmi a imparare un po’ la lingua: Dictaturi comuniste şi reprezentări cinematografice.

La prima lezione è stata una specie di bomba lanciata nella stanza per i poveri sventurati studenti italiani: niente lezioni frontali, tanto dibattito (a cui è anche legata parte del voto), una presentazione da fare di fronte alla classe su uno dei testi su cui si lavorerà – facendo attenzione anche alle modalità di esposizione oltre che ai contenuti – e un research paper di venti pagine su un argomento a scelta inerente le tematiche del corso, meglio se corredato da ricerca originale. Tutte cose mai fatte in Italia, come ci siamo trovati ad ammettere alla docente che, con cortesia, ha cercato di spiegarci i principali requisiti del paper. La seconda lezione? Anche qui nessun esame, un corso fatto di interventi di diversi professori – uno diverso a lezione – con diversi punti di vista sulla politica dell’Europa centro-orientale: antropologici, politologici, religiosi, transizionalistici. Anche qui un paper da fare su un argomento a scelta. Per gli altri corsi la solfa continua a ripetersi e, per il povero sprovveduto italiano pasta pizza mandolino mamma, comincia a salire l’ansia e la depressione.

I romeni sembrano fare a gara per dire che la Romania è una backward country (come d’altronde facciamo anche noi con l’Italia). Eppure com’è possibile che ci abbiano lasciato al palo anche loro? Han lasciato al palo noi, con la nostra cultura, con il nostro orgoglio sui grandi nomi italiani che hanno fatto la storia, l’arte, la musica, la letteratura, la scienza. Ora, io non so se sono capitato proprio male all’Università degli Studi. So solo che altri studenti italiani si trovano spaesati e disorientati come me e che l’impressione che continua a confermarsi è che lo stivale si stia trasformando in una deadly swamp, una palude mortale. Ho letto diversi articoli a riguardo, quello che mi aveva più colpito ammoniva chi scaricava tutte le colpe sui governi e sulle riforme Moratti e Gelmini. E diceva che l’Università la fanno anche, e soprattutto, studenti e professori.

Io, quando mi sono iscritto all’Università di nuovo dopo una laurea inutile, mi son depresso parecchio. Cosa ci facevo io a 26 anni, con una laurea e con tante belle idee in testa, in mezzo a uno sciame di ragazzetti schiamazzanti e maleducati, incapaci di non comportarsi come porci a lezione e irrispettosi per il diritto dei loro compagni di ascoltare e far tesoro della lezione? Mi sentivo impotente, avrei voluto mettermi a gridare quando il professore di storia, scorato, terminava in anticipo una lezione che io ascoltavo pendendogli dalle labbra perché il brusio e il disinteresse generale era troppo palese anche per lui. E mi irritavo, al corso di lingua inglese e comunicazione, a dover partecipare a delle lezioni da elementari in cui si ripetevano in continuazione le parole chiave e in cui mi veniva voglia di correggere certe traduzioni della professoressa (all’esame mi diede trenta, mi disse “Le è piaciuto questo corso? Mi dica la verità, io penso fosse troppo facile per lei). Mi sono trovato meglio quando ho cominciato a frequentare solo quello che veramente mi interessava (geopolitica, studi strategici, politica dell’UE) e a dare da non frequentante il resto. E quando ho dato l’esame del professore della mia tesi, cominciato con l’epica domanda “Allora, come lo salviamo quest’Euro?”, mi ha dato forte soddisfazione sentirmi dire che apprezzava la volontà di spaziare, di creare collegamenti e di non fermarsi solo al libro di testo. “Ma tanto – disse il professore – storia dell’integrazione europea tra qualche anno non si studierà più, o si studierà solo come si studia la storia dei greci e dei romani”.

Rassegnazione, penso che per molti professori la sensazione sia quella, o almeno è quello che trasmettono. Però penso debba partire da loro e dagli studenti un moto di orgoglio, una consapevolezza che quello è un luogo di crescita e non di bivacco, un coraggio di rischiare e proporre novità e nuovi modi di coinvolgere, apprendere e fare apprendere. Di fronte alla porta dell’ufficio Erasmus alla Facultatea de Drept c’è una citazione di Erasmo da Rotterdam e, a ragionarci sopra, viene da mettersi le mani tra i capelli e disperarsi:

“The main hope of a nation lies in the proper education of its youth”
(Viitorul unei naţiuni este hotărât de modul în care aceasta îşi pregăteşte tineretul)

Nessun commento: