giovedì 22 settembre 2011

...şi am băut gin!



Giorni sballottati, tra l'esame di lingua romena, l'insediamento nel nuovo appartamento, una camminata per Bucarest con uno stendino sottobraccio, concerti, cene e camminate notturne per la città - che comincia a diventare sempre più mia - e il volo di ritorno a casa. Culo sul divano, voglia di stare a casa e vedere un film, un po' di rammarico perché "quando mi ricapita di vedere gli Zdob şi Zdub?" e, improvvisamente, la decisione di alzarci tutti e tre, acchiappare la metro a Obor e dirigerci in centro per il concerto. Così, seguendo ispirazioni improvvise, come forse bisognerebbe fare un po' di più, facendosi meno problemi. Perdersi nel labirinto di Lipscani fino a sbucare in Strada Franceză, a bocca aperta vedendo i sampietrini schierati a mo' di barricata, il selciato ancora da fare, una strada stranamente e magicamente silenziosa nel centro, nessun locale e una chiesa illuminata. E sbucare poi dove risuonano le note di Ţigani şi OZN-ul ("Zingari e UFO")da un palco posto all'incrocio tra due vie, con un edificio dietro alla band e il pubblico a destra, sinistra e in mezzo. Lampi belli e meno belli, come il tizio con una bambola in spalla e una bandiera europea o come il bambino che, nel mezzo della calca, raccoglieva bottiglie di plastica e lattine. Però una location bellissima e particolare per un bel concerto che mi ha visto, alla fine, lasciarmi andare a saltare e urlare come non mi capitava da un sacco di tempo, abbracciato a Quentin sulle note di Bună Dimineaţa e Everybody in the Casa Mare. Finito l'ultimo pezzo la piazza si svuota, prendiamo Calea Victoriei, svoltiamo a destra e torniamo verso casa in una Bucarest semi-dormiente. I fiorai aperti, la Biserica Armenească illuminata e sempre più bella, i cani a zonzo e noi tre che respiriamo la città camminando nella notte.

Due sere dopo la stessa strada l'ho ripercorsa, con l'unica compagnia di Silvia al telefono, a cui raccontavo quello che c'era intorno, le stranezze, le cose che mi colpiscono e piacciono e affascinano di questa città. Ho portato Silvia a spasso con me, nel ritorno a piedi da Lipscani a casa, raccontandole la città, cercando di ricreare Bucarest nella sua immaginazione e sentendola vicina, quasi camminasse stretta al mio braccio destro. Raccontandole di chiese spostate per sfuggire a Ceauşescu, di cani che attraversano la strada solo sulle strisce e quando non passano le macchine, leggendole le scritte, promettendole un fiore preso all'una di notte da un florarie non-stop e uno strudel cu brânză preso a due lei dalla finestra di un negozio. Raccontandole la bellezza della chiesa armena, la voglia di fare una passeggiata nel quartiere armeno, i binari del tram che sferraglia e tintinna sotto la finestra del nostro soggiorno, raccontandole il vicoletto stretto per cui si arriva al nostro portone e le mille banche di Calea Moşilor, già soprannominata Little Switzerland.


Ho le chiavi del palazzo, ho una camera con le mie cose, la mia scrivania, il mio letto e i miei vestiti. Ho una cucina dove ho preparato una pasta al sugo con prosciutto di Praga e salame d'orso, ho un boccione dell'acqua da cinque litri nel frigo e un cartone di succo. Ho una cucina che pian piano ha preso la forma che gli abbiamo voluto dare. Ho un supermercato sotto casa dove ho già fatto la spesa un paio di volte, e una strada che ormai ho già percorso a piedi in una mezza dozzina di occasioni. Ho un diploma che dice che so un pochino di romeno e riesco a fare anche qualche conversazione senza dover ricorrere ad altre lingue. Ho un router internet che al momento non funziona e ho chiamato il servizio clienti, e attendo i tecnici. Ho un telefono che ogni tanto squilla, e qualcuno che chiede dell'algerino che prima viveva qui ("Domnul Habib nu locuieşte aici. Nu, nu cunosc domnul Habib. Nu, nu ştiu numărul său, îmi pare rău"). Ho fatto leggere il contatore della luce e fatto due lavatrici, ho steso e mi sono addormentato già due volte sul divano. Ho ascoltato la radio romena e qualche volta ci ho anche capito qualcosa. Ho una voglia matta di comprare qualche libro dalle bancarelle in Piaţa Universitaţii. Saprei guidare da casa mia all'aeroporto, ho visto lo stadio della Dinamo e quello della nazionale di rugby. Ho imparato a camminare in strade infestate di cani senza andare nel panico, e comincio a comprendere la metropolitana di Bucarest. Ho un portafoglio con un abbonamento RATB e soldi solamente in lei. Ho mandato un curriculum a un giornale che ha la redazione a 500 metri da casa mia. Ho preso un aereo al piccolissimo Aurel Vlaicu - Băneasa e ho preferito chiedere "Este aici pentru zborul spre Bergamo, vă rog?" a un pope ortodosso che domandare agli italiani che sentivo parlare davanti ai quattro gate dell'aeroporto. E ieri, parlando con i miei in macchina, dicevo: "Da noi c'è...da noi invece non è così...da noi...". Fino a quando sono entrato in appartamento mi son sentito un turista a Bucarest, e in questo mio primo giorno dei dieci che passerò in Italia, mi sento in vacanza. Forse ora mi rendo conto che, adesso, in quella città ci sto vivendo - anche se a scadenza e con una padronanza rudimentale della lingua. Eu locuiesc în Bucureşti.

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