venerdì 20 gennaio 2012

Piața Universitații


La rivolta di tutti e di nessuno

Il troleibuz si ferma di fronte a Piața Universitații e si riempie di ragazzi, qualche striscione e qualche tricolore romeno. Un cordone della Jandarmeria ha bloccato l'accesso alla piazza da nord: sul Bulevardul Nicolae Bălcescu la folla preme, una fila di oltre duemila persone che arriva quasi fino a Piața Romană. Un ragazzo salito sul troleibuz comincia a urlare lo slogan che sta scuotendo Bucarest da una settimana: "Jos Băsescu! Jos Băsescu!". Gli altri passeggeri rumoreggiano, qualcuno sembra imbarazzato, delle ragazze e una signora di mezza età fanno eco: "Jos Băsescu!". Nel pomeriggio all'Arcul de Triumf si sono radunate settemila persone per il Miting Pentru Libertate, il meeting per la libertà indetto dalla coalizione liberale Uniunea Social Liberală: Crin Antonescu, leader del Partidul Național Liberal, ha parlato di "dittatura di Băsescu" e ha definito che il presidente e il suo primo ministro Emil Boc come "gli ultimi leader comunisti della Romania". Victor Ponta, leader del Partidul Social-Democrat e della coalizione e futuro sfidante di Emil Boc per la presidenza del consiglio alle elezioni del trenta novembre, ha promesso alla folla che "il 2012 segnerà la fine di Băsescu e un nuovo inizio per la Romania".

Sembra che i cittadini romeni abbiano deciso di ascoltare l'appello con cui inizia il loro inno nazionale, Deșteaptă-te, Române! ("Svegliati, romeno!"). A chi appartiene questa rivolta allora? All'USL e a Victor Ponta? A chi chiede elezioni anticipate? A chi non si fida dei liberali e chiede un'alternativa? A chi chiede "Băsescu la pușcarie" (Băsescu in prigione) e a chi invece vuole il ritorno di re Mihai? Agli ultrà che ieri sera hanno sprofondato per la seconda volta le proteste nella violenza? Ai cittadini che vogliono scrollarsi di dosso lo scomodo fantasma, tuttora presente, dei tempi del comunismo e che si scoprono a fantasticare di un secondo 1989? Ai sostenitori di Raed Arafat, contrari alla privatizzazione della sanità pubblica e al taglio di SMURD proposto dal governo? O a quelli che faticano ad arrivare a fine mese e vedono ulteriori misure di austerità abbattersi sulla propria testa per ripagare i debiti contratti dal governo nei confronti delle istituzioni finanziarie mondiali? Sembra essere una protesta di tutti e di nessuno, che guadagna e perde senso allo stesso tempo per la molteplicità e dispersività dei suoi attori e delle sue ragioni.

Nel settimo giorno di proteste, Bucarest e Piața Universitații hanno assaggiato per la seconda volta un clima di violenza, che era stato preannunciato dai folti numeri, dai toni del Miting Pentru Libertate e dall'annuncio del ritorno in piazza degli ultrà di Dinamo, Rapid, Steaua e del Petrolul Ploiești. I manifestanti hanno cercato di fare breccia nel cordone di polizia per dirigersi verso Piața Unirii, dove domenica avevano avuto luogo gli scontri più duri. La Jandarmeria ha cercato di disperdere la folla con i lacrimogeni, e i manifestanti hanno risposto lanciando pietre e bastoni, prima di venire caricati con violenza. Un centinaio i fermati, sedici dei quali avevano già ricevuto sanzioni nei giorni precedenti, mentre una quindicina è stata identificata come appartenente a una delle curve.

Oggi è il classico "giorno dopo", il teatro del rimpiattino di responsabilità e accuse. Mentre Antena Trei, uno dei più severi critici di Băsescu, accusa la polizia di aver utilizzato degli agenti provocatori per screditare la protesta e di aver reagito eccessivamente, Aurel Moise, capo della Jandarmeria, dichiara ad Adevărul: "Avremmo potuto intervenire in forza, ma non l'abbiamo fatto, ci siamo mossi quando i manifestanti in buona fede hanno lasciato la strada ed è stata invece eretta una barricata, ma alcune TV stanno cercando di screditarci" e i rappresentanti dei gruppi di tifosi declinano ogni responsabilità degli ultrà sugli scontri. Evenimentul Zilei, uno dei quotidiani più fedeli a Băsescu, sostiene che l'USL abbia pagato molti dei manifestanti dell'Arcul de Triumf per la loro presenza, pubblicando sul proprio sito un video che proverebbe questo fatto, ma la cui veridicità non è confermata. Il ministro per lo Sviluppo Regionale e il Turismo Elena Udrea, del Partidul Democrat-Liberal di Băsescu e Boc, ha dichiarato che le proteste sono legittime, perché il PDL non è stato capace di comunicare con i cittadini e la società civile, ma ha sottolineato che "la soluzione non è, in ogni caso, sostituire Emil Boc con Victor Ponta". Una serie di accuse reciproche che, agli occhi di diversi romeni, hanno l'effetto di screditare le ragioni della protesta e di far sorgere dubbi di manipolazione politica.

La Romania resta con gli occhi puntati a Piața Universitații, simbolo della Rivoluzione del 1989 e delle proteste contro il governo neocomunista di Ion Iliescu del 1990, ora di nuovo tornato ad essere il cuore della nazione con tutte le contraddizioni del caso. L'ottavo giorno è già iniziato, attorno alle due di pomeriggio: duecento già in piazza, altri cento – professori – di fronte al ministero dell'Educazione, ONG e curva attesi dopo le sette di sera. Cosa può arrivare a ottenere questa folla e quanto è legittimo che una manifestazione, per quanto ben nutrita e sentita, possa ottenere in una democrazia – per quanto imperfetta e corrotta – come la Romania? E soprattutto, cosa saprà trarre dalle tensioni di questi giorni? A mezzanotte del settimo giorno gli ultimi manifestanti lasciano la piazza sgombera, mentre la polizia riapre il traffico e la città va a dormire, in attesa di vedere cosa accadrà il giorno dopo. Noapte bună, Piața Universitații!  

Nessun commento: